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A quella stessa ora dello sguardo

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Con quale forza La notte densa

sollevò -in grida- un albero nero

.con tutto il peso di una nascita.

invaso di volti, di lampi e una vita

sola nella -sua- voce!  Mi ricongiunsi

a tentoni nello squarcio - cancellato

il cielo- tra la mano e i rami

intuendo il profilo grave

la cavità oscura  Scossa

 

Fu piena l’aria d’acqua ferma

vicino e forte

da non potere dimenticare

come cresceva lo spazio la paura

il confine delle cose, in eterna attesa

di quel nome chiamato verso il bosco

 

Piantai  una candela per ogni fitta

per illuminare le macchie cieche

sotto la pelle -a figura intera-

le radici  della casa vacillante

per riempire il muro del lieve della luce

le piantai a spargere speranze 

negli occhi vuoti per accogliere

-immaturi-di lasciarla andare via

La sera prima.

 

Poi venne Il Giorno, là dentro,

deciso. l’angelo puntava il dito

verso. il sole alla fine della terra

E un albero bianco in cielo

attraversò la stanza

col giuramento di restare

in piena luce

a quella stessa ora dello sguardo

che la porta chiude senza Lei

Eterna

 

 

 

 amina narimi - 28/06/2013 23:16:00 [ leggi altri commenti di amina narimi » ]

Grazie Loredana, grazie Leonora per la corsa

e grazie a Te riconoscibile
anche in mareaperto
la tua scia è sempre
casa

 Loredana Savelli - 28/06/2013 10:41:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Conosci il linguaggio dell’indicibile e ci fai stare lì dove sei, lontanissimo eppure dentro.
Ciao!

 mareaperto - 27/06/2013 11:17:00 [ leggi altri commenti di mareaperto » ]

Quando si manifestò il cordoglio del deserto
la pozza era ormai allo stato di fango secco
e gli Angeli, poco meno che bachi,
nel bozzolo alla foce emettevano vapore.
Non c’eri tu, ma tu eri già la duna alzata dal vento.
Già una scia diceva il tuo verso e già
un respiro di metano raccontava macchine
e crisantemi. Il ghiaccio si faceva continente
e tu dal perimetro della neve ricavavi leggerezza.

Quando la pioggia tornerà sul deserto e la pozza
riaprirà il suo abbeveratoio conteso
un nomade scuoterà il suo lungo collo
all’odore del nuovo frumento. Vedrà il sintomo divino
da cui proviene - brivido di carne benedetta
fibra per ogni tendine - e prenderà per il fieno
almeno un puledro.
Tu sarai nel crine del vento, sarai il crine
e lo zoccolo della tormenta.
Quando, e solo allora, farai del pube una miniera.

Verranno santi e diavoli tremendi
ed ognuno vorrà averti nella sua casa di frontiera
ma in nessun caso l’anima, per l’acuto mestiere
di doganiere, cederà di un palmo al tranello della questua.

Sii fiera del riso di oggi, sii fiera del respiro leggero.
Sarai fiera più che l’agnello.

 Leonora Lusin - 27/06/2013 00:24:00 [ leggi altri commenti di Leonora Lusin » ]

Dall’albero nero all’albero bianco d’un solo fiato, una bella corsa.

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